sabato 26 luglio 2008

TA Notturno del Kappadocio 25-07-2008

T.A. DEL KAPPADOCIO (parodia di un vero TA)

..tutto è iniziato nel 1992, da un'idea di Piero Gucci e da allora, tutti gli anni, con qualunque tempo atmosferico, l’ultimo venerdi di Luglio, Piero ha guidato chiunque si sia presentato alla partenza lungo le 12 ore del cammino. Piero ci ha lasciato, ma abbiamo deciso che una escursione cosi bella non possa cessare. Chiunque parte sappia che questa manifestazione non è soltanto una splendida escursione impegnativa fisicamente, ma è anche altro: è un camminare insieme, uno stare in comunione con gli uomini, la natura e per chi ci crede anche con Dio; è un modo per dire "grazie di essere al mondo"




Queste parole vennero scritte dal nostro gruppo podistico in ricordo di colui che per 15 anni ha accompagnato i camminatori durante la notte, senza mai perdere un’edizione, da Prato al Santuario di Bocca di Rio, attraverso i sentieri tanto cari alla tradizione pratese del periodo della resistenza.
Ho detto 15 non a caso perché lo scorso anno questa manifestazione ha perso il suo ideatore ma fortunatamente non il suo spirito…

E così mi son ritrovato a pensare come contribuire al ricordo di quella persona, tanto speciale e tanto cara al CAI . Sinceramente non c’ho pensato poi molto, era semplice, era lì davanti a me davanti ad un monitor di pc: una community di persone che amano la montagna come me e che desiderano viverla correndo e allora perché non reinventare questa stupenda camminata? Non certo con la presunzione o la voglia di cancellare la marcia notturna che a mio giudizio rappresenta la più bella tra le idee, ma aggiungendo il mio contributo e di coloro che vorranno condividere la cosa correndo la distanza.

Ho pensato alla ricetta del T.A. e mi son detto: si Alessio provaci, al limite sarai da solo ma sai già che partiresti lo stesso per il rispetto di colui che ha amato questo percorso e le sue tradizioni.

Ho pensato subito che era il giusto spirito per un trail autogestito

E così il giorno è arrivato ma non ero solo: c’ero io, il kappadocio, con un ginocchio malandato ma comunque presente, c’era il Vannucci che credo buona parte degli spirito trail conosceranno, c’era Federico che in qualità di autoctono avrebbe dovuto conoscere la strada (condizionale d’obbligo), c’era Jack la cui allegria è stato un ottimo pretesto per vivere un piacevole pomeriggio oltre a una stupenda traversata notturna… e UomoPatagonico che conosco da un po’ ormai ma che mi ha fatto un gran piacere ospitare sui miei monti e infine c’era la Carla.

Su questo ultimo personaggio voglio spendere qualche parola. La Carla è una simpatica signora che ogni anno partecipa a Da Piazza a Piazza ed è molto affezionata alle iniziative del Cai di Prato. Vestita di pantaloncini corti, canotta, frontale e zainetto domenicale si era presentata con un bel thermos di caffè per la notte (si avete letto bene) al fine di difenderci dalle braccia di Morfeo qualora ci prendesse un colpo di sonno. Avreste dovuto vederla quando ha parcheggiato la macchina e ha visto che “gente” era ferma ai blocchi di partenza. Quanta tenerezza mi ha fatto in quelle sue espressioni, in quelle sue raccomandazioni e in quella inesperienza. Perché correre di notte, per quanto tranquilla si possa prendere, non è una esperienza facile e la concentrazione deve essere sempre molto elevata tant’è che anche i più esperti possono cadere in errore.

Ma torniamo al racconto.
Correre di notte ha bisogno di una grande preparazione e quindi spenderò piacevolmente qualche istante per dire che da una parte c’era chi si era dimostrato estremamente tecnico come Marco Vannucci che aveva fatto un po’ di riscaldamento con 1 ora e mezzo di corsa, chi magari si era preso un Aulin prima di partire come Federico, chi era appena uscita da lavoro come Carla o chi aveva passato qualche ora a cena per non arrivare a secco di energie durante la notte (gli altri). Ma chi ha fatto più impressione, non c’è che dire, è stato Jack. Io non avevo mai visto una preparazione tanto accurata degna di un finisher della UTMB quale lui è. Sapeva che doveva partire con un alto livello di zucchero ma doveva anche trovare un buon sistema tampone per consumare lentamente le sue riserve e quindi, con una capacità tecnica che farebbe invidia ad un Kiwi australiano, ha deciso di alimentare il suo corpo con, nel seguente ordine cronologico: patatine fritte rubate al sottoscritto, acqua, una bella pizza alta con pomodoro, birra, un gustoso dolce al mascarpone per stare leggeri e poco prima del caffè e mezz’ora prima della partenza un bel piatto di spaghetti al pomodoro e peperoncino piccante. Da quel momento Jack è diventato il mio idolo e credo, se un giorno farò l’UTMB, che prenderò consigli alimentari soltanto da lui.
Anche questo è trail autogestito

Ma finalmente è giunta l’ora di partire, sono le 23.05 (ritardo accademico) e il gruppo procede sul breve tratto di asfalto che porta alla salita del Monte Maggiore. Forse abbiamo un po’ esagerato perché la partenza è stata veramente troppo arzilla tant’è che Jack è rimasto indietro sicuramente in preda ai litigi tra succo gastrico e stomaco.
Ma non c’erano problemi, ho pensato, perché tanto nel caso si fosse troppo distanti, oltre alle torce (Jack ne aveva due tanto per differenziarsi anche in questo), avevamo le radioline portate sempre dal fornitissimo Jack. In confronto a lui, l’A-Team sembrerebbe una squadra di castori che si preparano a costruire una diga nel deserto e, valorizzato da tanta organizzazione mi dico: questo sì che è Trail Autogestito

La salita comincia e già ci sono i primi distacchi tant’è che dopo 4 km eravamo io e Marco a guardarci nelle palle delle torce. Allora ho pensato di utilizzare la Jack-radio per capire quanto erano lontani. Morale della storia, vuoi per lo scarso segnale, vuoi per il fatto che parlavamo due lingue diverse (pratese e ravennate) sono riuscito a capire dove erano solo 5 minuti dopo quando mi sono ritrovato il suo brutto muso davanti. Ho capito in quel momento che le radio probabilmente potevano essere regalate agli stessi castori di prima, che magari la diga non la costruivano, ma potevano giocarci a baseball su qualche duna.

Ma non perdiamoci d’animo la salita è ancora lunga e non dobbiamo perdere tempo, ho promesso a me stesso che avremmo superato i camminatori prima dell’arrivo anche perché partivamo solo con 2 ore di svantaggio… cosa poteva mai accaderci per non rispettare l’obiettivo prefissato?

Arriviamo in breve al primo punto di “controllo” (Valibona) ed essendo praticamente tutti insieme (incredibile) decidiamo di ripartire subito. Una veloce controllata al gruppo e mi soffermo un po’ su Carla per vedere come sta e non notando cedimenti mi tranquillizzo e propongo al gruppo di passare per la forestale fino a che non si rientra per il sentiero che arriva in cima al Monte Maggiore. Non l’avessi mai detto, Federico ha subito fatto presente che non era quello il percorso da seguire secondo le indicazioni che ci avevano lasciato e quindi era bene proseguire per il sentiero n° 20.
Ok dico io sapendo già cosa ci aspettava e passiamo per quello che a primavera era un sentiero dalla bellezza incantevole, ora invece era una striscia di terreno coperto da cardi, delle simpatiche piantine pungenti che non ti lasciavano in pace e ti facevano ricordare quanto sia doloroso avere piccoli aghi che ti si conficcano ritmicamente nelle caviglie. Credo che a quel punto anche la Carla abbia capito che il thermos non aveva motivo di esistere perché saremmo rimasti certamente svegli.

Ma andiamo avanti e, dopo esserci distratti per un attimo (simpatico modo per dire che ci eravamo infrascati fuori dal sentiero) raggiungiamo Foce ai Cerri. A questo punto decido di condurre il gruppo per il sentiero 20 fino in vetta tanto ormai eravamo immuni a qualsiasi puntura erbacea ma Federico ha pensato di cambiare strada per evitare questo imprevisto e ha preso la forestale dicendo a me e Marco (che continuavamo per il n° 20) di ritrovarci in vetta. Morale della favola io e Marco arriviamo in cima alla croce del Monte Maggiore (880 mt di dislivello in 8,8 km) e gli altri si sono persi nel bosco. Ho quindi pensato di utilizzare nuovamente la radio per capire dove erano ma dopo qualche tentativo inutile ho realizzato che manco i castori già citati avrebbero saputo che farsene di due radioline così.

Dopo urla notturne di richiamo che risuonavano come eco dal monte verso la città che lentamente si addormentava (o sperava di farlo usando tappi per gli orecchi) ci siamo finalmente ricongiunti sulla vetta del Monte Maggiore a godere del panorama e fare qualche scatto fotografico. Il silenzio e l’insolita assenza di vento hanno reso spettacolare l’immagine che si apriva davanti ai nostri occhi con le luci della città che giungevano a noi come mondi distanti, come realtà metropolitane di inquinamento e frenesia ormai catalogate come un incubo lontano.. iniziava il vero silenzio, l’oscurità intaccata da un pallido quarto di luna che ci ha seguito ed osservato lungo tutto il tragitto. E così ci siamo buttati di corsa attraversando continui saliscendi, incontrando animali selvatici, cavalli, ed un branco di pecore comandato da due noiosissimi cani. Le cose sono andate bene, molto bene nonostante i primi rallentamenti dovuti alla perdita di sprint di Carla fino a quando siamo arrivati alla fine della strada forestale. A quel punto davanti a noi c’erano due soluzioni che portavano entrambe a Montecuccoli: continuare per la forestale o proseguire per un bellissimo sentiero a mezza costa che dava verso la valle del Bisenzio. In quel momento era a comandare il gruppo Federico ed indovinate quale ha scelto tra le due strane: ovviamente nessuna delle due bensì uno strano sentiero largo centrale che saliva leggermente. Ad una mia prima esternazione mi viene detto di non preoccuparmi perché era il sentiero giusto nonostante io dicessi che ce n’era uno ancora più a sinistra. Ad una mia seconda esternazione in cui facevo notare che il sentiero passava accanto ad una croce che non era mai stata vista dal sottoscritto mi viene detto che probabilmente l’avevano messa da poco. A quel punto ho dato carta bianca e ho cominciato a correre avanti al gruppo insieme a Marco. Morale della favola siamo andati avanti fino a che non siamo dovuti tornare indietro sui nostri passi coprendo una distanza di poco più di 2 km per poi imboccare il sentierino che avevo indicato io. Ok anche questo è trail autogestivo ma preferivo evitare di scoprirlo

Da qui arriviamo in poco tempo a Montecuccoli ma il gruppo che accompagna la rappresentante del gentil sesso ancora non si vede. Voglio dare un’ultima possibilità alla jack-radio ma capisco che farei meglio a telefonare per sapere dove sono finiti. Peccato che Jack alias “McGiver dei poveri” abbia spento il telefono. Dopo un po’ arrivano e, fatta una buona sosta sorseggiando l’acqua che gentilmente i camminatori ci avevano lasciato, si riparte ma a questo punto arriva la doccia fredda finale: Carla è presente fisicamente ma ormai ci ha abbandonato mentalmente. Il suo tantra sta vagando per chissà quale dimensione pur di scappare dal pensiero di essere lì, di notte, con 5 brutti ceffi intorno ed il pensiero che le gambe non le reggono più. Credo in quel momento avrebbe preferito stare con i castori a costruire la famosa diga. Ci facciamo forza ma ci attendono i 10 km più lunghi della notte. Non perché siano particolarmente impegnativi per i dislivelli ma perché si sta procedendo ad una velocità che era identica a quella dei camminatori. Sì sì ho detto che la notte è stata trail autogestito ma a tutto c’è un limite e questa volta l’avevamo superato, non avremmo ripreso i camminatori a quell’andatura.

Marco e Federico a questo punto spariscono e non li vedremo più se non all’arrivo. Quel passo è troppo lento per tutti noi ma dentro di me sento che lasciare lì da sola in mezzo al bosco Carla sarebbe una vigliaccata. A pensarla come me ci sono ancora Jack e UomoPatagonico con il loro spirito e la volontà di rimanere uniti fino alla fine del giro e capisco che in realtà è questo il vero momento in cui stiamo facendo un trail autogestito.

Dovessi menzionare un ricordo di questi 10 km posso solo dire che la bellezza del paesaggio era un po’ offuscato dal passo che tenevamo ma vi assicuro che la notte rendeva questo tratto una realtà a se, un piacere incredibile da assaporare. Ahimè però il tempo stringeva e non avevamo modo di fermarci in punti particolari dove raccontare a Jack e Patagonico la storia che c’era in quei luoghi. Non ho potuto raccontare loro della casa della Dogana dove avveniva il passaggio doganale tra le terre di Prato e quelle del Mugello come non ho potuto raccontare la storia della fattoria Le Soda. Poco male però perché il percorso sta piacendo e credo proprio ci saranno altre occasioni in futuro.

Finalmente arriviamo al passo della Crocetta, su strada asfaltata, dove Carla aspetterà l’arrivo della figlia in pigiama, alle 5 del mattino, a giro per le strade di montagna. Ammetto che siamo stati per un attimo combattuti tra l’attendere l’arrivo della figlia e gustarci lo spettacolino o proseguire. Ma l’animo trail chiama e lasciamo Carla per avviarci con grande slancio verso l’ultima impegnativa salita che ci porterà in vetta al Tavianella. Durante la salita, nel fitto bosco, le luci delle torce cominciano a non illuminare più come prima ma non si tratta della fine delle batterie bensì dell’arrivo di qualcosa di molto più luminoso: sta sopraggiungendo l’alba e vi assicuro che attraversare quel bosco a quell’ora ha un sapore particolare, un emozione unica. La nostre folle rincorsa però ci premia e arriviamo finalmente a ricongiungerci con i camminatori più lenti (siamo a 3 km dall’arrivo).

Mamma mia che sudata, è stata un’impresa raggiungerli e il piacere di fermarsi un attimo per parlare con loro, per sapere che emozioni hanno vissuto nel loro pellegrinaggio notturno, riesce per un po’ a farmi dimenticare che dovrei correre ancora per qualche km. Però alla fine torno in me e ricordandomi che Jack mi aveva da poco superato al grido di: “tu tiene e cuorna” ho deciso di salutare i camminatori e ripartire a corsa verso l’arrivo.

La discesa finale è stata abbastanza stressante per il mio povero ginocchio ormai andato (a cui si è aggiunta una distorsione forte alla caviglia rimediata mentre camminavo con Carla) ma il premio finale è stato più che sufficiente: sono a Bocca di Rio, un santuario dalla storia bellissima, immerso nel verde e nel silenzio della montagna vicino a una sorgente di acqua freddissima.

La storia giunge ormai al termine ma non posso che fare un ultimo appunto rivolto al terzo tempo: schiacciata con i ciccioli, schiacciata normale, scrostata e pastiera napoletana. Il tutto condito con acqua, bevande gassate di vario colore e un buon vino.

38 km e D+ 2.149,1 mt, D-1.511,2 mt


Ormai la girata è conclusa, ho conosciuto nuovi amici, ho fatto una nuova esperienza e ho corso e camminato tutta la notte per sentieri fino a raggiungere il punto finale dove dedicarmi ad uno spettacolare terzo tempo.
Porterò per sempre con me il ricordo di questi volti, delle difficoltà incontrate, del piacere di condividere questi momenti e questi sentieri con persone che probabilmente non sarebbero mai venute a fare un giro in questi luoghi. Grazie a voi tutti

E SE NON E’ TRAIL AUTOGESTITO QUESTO!!!!

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