sabato 26 luglio 2008

TA Notturno del Kappadocio 25-07-2008

T.A. DEL KAPPADOCIO (parodia di un vero TA)

..tutto è iniziato nel 1992, da un'idea di Piero Gucci e da allora, tutti gli anni, con qualunque tempo atmosferico, l’ultimo venerdi di Luglio, Piero ha guidato chiunque si sia presentato alla partenza lungo le 12 ore del cammino. Piero ci ha lasciato, ma abbiamo deciso che una escursione cosi bella non possa cessare. Chiunque parte sappia che questa manifestazione non è soltanto una splendida escursione impegnativa fisicamente, ma è anche altro: è un camminare insieme, uno stare in comunione con gli uomini, la natura e per chi ci crede anche con Dio; è un modo per dire "grazie di essere al mondo"




Queste parole vennero scritte dal nostro gruppo podistico in ricordo di colui che per 15 anni ha accompagnato i camminatori durante la notte, senza mai perdere un’edizione, da Prato al Santuario di Bocca di Rio, attraverso i sentieri tanto cari alla tradizione pratese del periodo della resistenza.
Ho detto 15 non a caso perché lo scorso anno questa manifestazione ha perso il suo ideatore ma fortunatamente non il suo spirito…

E così mi son ritrovato a pensare come contribuire al ricordo di quella persona, tanto speciale e tanto cara al CAI . Sinceramente non c’ho pensato poi molto, era semplice, era lì davanti a me davanti ad un monitor di pc: una community di persone che amano la montagna come me e che desiderano viverla correndo e allora perché non reinventare questa stupenda camminata? Non certo con la presunzione o la voglia di cancellare la marcia notturna che a mio giudizio rappresenta la più bella tra le idee, ma aggiungendo il mio contributo e di coloro che vorranno condividere la cosa correndo la distanza.

Ho pensato alla ricetta del T.A. e mi son detto: si Alessio provaci, al limite sarai da solo ma sai già che partiresti lo stesso per il rispetto di colui che ha amato questo percorso e le sue tradizioni.

Ho pensato subito che era il giusto spirito per un trail autogestito

E così il giorno è arrivato ma non ero solo: c’ero io, il kappadocio, con un ginocchio malandato ma comunque presente, c’era il Vannucci che credo buona parte degli spirito trail conosceranno, c’era Federico che in qualità di autoctono avrebbe dovuto conoscere la strada (condizionale d’obbligo), c’era Jack la cui allegria è stato un ottimo pretesto per vivere un piacevole pomeriggio oltre a una stupenda traversata notturna… e UomoPatagonico che conosco da un po’ ormai ma che mi ha fatto un gran piacere ospitare sui miei monti e infine c’era la Carla.

Su questo ultimo personaggio voglio spendere qualche parola. La Carla è una simpatica signora che ogni anno partecipa a Da Piazza a Piazza ed è molto affezionata alle iniziative del Cai di Prato. Vestita di pantaloncini corti, canotta, frontale e zainetto domenicale si era presentata con un bel thermos di caffè per la notte (si avete letto bene) al fine di difenderci dalle braccia di Morfeo qualora ci prendesse un colpo di sonno. Avreste dovuto vederla quando ha parcheggiato la macchina e ha visto che “gente” era ferma ai blocchi di partenza. Quanta tenerezza mi ha fatto in quelle sue espressioni, in quelle sue raccomandazioni e in quella inesperienza. Perché correre di notte, per quanto tranquilla si possa prendere, non è una esperienza facile e la concentrazione deve essere sempre molto elevata tant’è che anche i più esperti possono cadere in errore.

Ma torniamo al racconto.
Correre di notte ha bisogno di una grande preparazione e quindi spenderò piacevolmente qualche istante per dire che da una parte c’era chi si era dimostrato estremamente tecnico come Marco Vannucci che aveva fatto un po’ di riscaldamento con 1 ora e mezzo di corsa, chi magari si era preso un Aulin prima di partire come Federico, chi era appena uscita da lavoro come Carla o chi aveva passato qualche ora a cena per non arrivare a secco di energie durante la notte (gli altri). Ma chi ha fatto più impressione, non c’è che dire, è stato Jack. Io non avevo mai visto una preparazione tanto accurata degna di un finisher della UTMB quale lui è. Sapeva che doveva partire con un alto livello di zucchero ma doveva anche trovare un buon sistema tampone per consumare lentamente le sue riserve e quindi, con una capacità tecnica che farebbe invidia ad un Kiwi australiano, ha deciso di alimentare il suo corpo con, nel seguente ordine cronologico: patatine fritte rubate al sottoscritto, acqua, una bella pizza alta con pomodoro, birra, un gustoso dolce al mascarpone per stare leggeri e poco prima del caffè e mezz’ora prima della partenza un bel piatto di spaghetti al pomodoro e peperoncino piccante. Da quel momento Jack è diventato il mio idolo e credo, se un giorno farò l’UTMB, che prenderò consigli alimentari soltanto da lui.
Anche questo è trail autogestito

Ma finalmente è giunta l’ora di partire, sono le 23.05 (ritardo accademico) e il gruppo procede sul breve tratto di asfalto che porta alla salita del Monte Maggiore. Forse abbiamo un po’ esagerato perché la partenza è stata veramente troppo arzilla tant’è che Jack è rimasto indietro sicuramente in preda ai litigi tra succo gastrico e stomaco.
Ma non c’erano problemi, ho pensato, perché tanto nel caso si fosse troppo distanti, oltre alle torce (Jack ne aveva due tanto per differenziarsi anche in questo), avevamo le radioline portate sempre dal fornitissimo Jack. In confronto a lui, l’A-Team sembrerebbe una squadra di castori che si preparano a costruire una diga nel deserto e, valorizzato da tanta organizzazione mi dico: questo sì che è Trail Autogestito

La salita comincia e già ci sono i primi distacchi tant’è che dopo 4 km eravamo io e Marco a guardarci nelle palle delle torce. Allora ho pensato di utilizzare la Jack-radio per capire quanto erano lontani. Morale della storia, vuoi per lo scarso segnale, vuoi per il fatto che parlavamo due lingue diverse (pratese e ravennate) sono riuscito a capire dove erano solo 5 minuti dopo quando mi sono ritrovato il suo brutto muso davanti. Ho capito in quel momento che le radio probabilmente potevano essere regalate agli stessi castori di prima, che magari la diga non la costruivano, ma potevano giocarci a baseball su qualche duna.

Ma non perdiamoci d’animo la salita è ancora lunga e non dobbiamo perdere tempo, ho promesso a me stesso che avremmo superato i camminatori prima dell’arrivo anche perché partivamo solo con 2 ore di svantaggio… cosa poteva mai accaderci per non rispettare l’obiettivo prefissato?

Arriviamo in breve al primo punto di “controllo” (Valibona) ed essendo praticamente tutti insieme (incredibile) decidiamo di ripartire subito. Una veloce controllata al gruppo e mi soffermo un po’ su Carla per vedere come sta e non notando cedimenti mi tranquillizzo e propongo al gruppo di passare per la forestale fino a che non si rientra per il sentiero che arriva in cima al Monte Maggiore. Non l’avessi mai detto, Federico ha subito fatto presente che non era quello il percorso da seguire secondo le indicazioni che ci avevano lasciato e quindi era bene proseguire per il sentiero n° 20.
Ok dico io sapendo già cosa ci aspettava e passiamo per quello che a primavera era un sentiero dalla bellezza incantevole, ora invece era una striscia di terreno coperto da cardi, delle simpatiche piantine pungenti che non ti lasciavano in pace e ti facevano ricordare quanto sia doloroso avere piccoli aghi che ti si conficcano ritmicamente nelle caviglie. Credo che a quel punto anche la Carla abbia capito che il thermos non aveva motivo di esistere perché saremmo rimasti certamente svegli.

Ma andiamo avanti e, dopo esserci distratti per un attimo (simpatico modo per dire che ci eravamo infrascati fuori dal sentiero) raggiungiamo Foce ai Cerri. A questo punto decido di condurre il gruppo per il sentiero 20 fino in vetta tanto ormai eravamo immuni a qualsiasi puntura erbacea ma Federico ha pensato di cambiare strada per evitare questo imprevisto e ha preso la forestale dicendo a me e Marco (che continuavamo per il n° 20) di ritrovarci in vetta. Morale della favola io e Marco arriviamo in cima alla croce del Monte Maggiore (880 mt di dislivello in 8,8 km) e gli altri si sono persi nel bosco. Ho quindi pensato di utilizzare nuovamente la radio per capire dove erano ma dopo qualche tentativo inutile ho realizzato che manco i castori già citati avrebbero saputo che farsene di due radioline così.

Dopo urla notturne di richiamo che risuonavano come eco dal monte verso la città che lentamente si addormentava (o sperava di farlo usando tappi per gli orecchi) ci siamo finalmente ricongiunti sulla vetta del Monte Maggiore a godere del panorama e fare qualche scatto fotografico. Il silenzio e l’insolita assenza di vento hanno reso spettacolare l’immagine che si apriva davanti ai nostri occhi con le luci della città che giungevano a noi come mondi distanti, come realtà metropolitane di inquinamento e frenesia ormai catalogate come un incubo lontano.. iniziava il vero silenzio, l’oscurità intaccata da un pallido quarto di luna che ci ha seguito ed osservato lungo tutto il tragitto. E così ci siamo buttati di corsa attraversando continui saliscendi, incontrando animali selvatici, cavalli, ed un branco di pecore comandato da due noiosissimi cani. Le cose sono andate bene, molto bene nonostante i primi rallentamenti dovuti alla perdita di sprint di Carla fino a quando siamo arrivati alla fine della strada forestale. A quel punto davanti a noi c’erano due soluzioni che portavano entrambe a Montecuccoli: continuare per la forestale o proseguire per un bellissimo sentiero a mezza costa che dava verso la valle del Bisenzio. In quel momento era a comandare il gruppo Federico ed indovinate quale ha scelto tra le due strane: ovviamente nessuna delle due bensì uno strano sentiero largo centrale che saliva leggermente. Ad una mia prima esternazione mi viene detto di non preoccuparmi perché era il sentiero giusto nonostante io dicessi che ce n’era uno ancora più a sinistra. Ad una mia seconda esternazione in cui facevo notare che il sentiero passava accanto ad una croce che non era mai stata vista dal sottoscritto mi viene detto che probabilmente l’avevano messa da poco. A quel punto ho dato carta bianca e ho cominciato a correre avanti al gruppo insieme a Marco. Morale della favola siamo andati avanti fino a che non siamo dovuti tornare indietro sui nostri passi coprendo una distanza di poco più di 2 km per poi imboccare il sentierino che avevo indicato io. Ok anche questo è trail autogestivo ma preferivo evitare di scoprirlo

Da qui arriviamo in poco tempo a Montecuccoli ma il gruppo che accompagna la rappresentante del gentil sesso ancora non si vede. Voglio dare un’ultima possibilità alla jack-radio ma capisco che farei meglio a telefonare per sapere dove sono finiti. Peccato che Jack alias “McGiver dei poveri” abbia spento il telefono. Dopo un po’ arrivano e, fatta una buona sosta sorseggiando l’acqua che gentilmente i camminatori ci avevano lasciato, si riparte ma a questo punto arriva la doccia fredda finale: Carla è presente fisicamente ma ormai ci ha abbandonato mentalmente. Il suo tantra sta vagando per chissà quale dimensione pur di scappare dal pensiero di essere lì, di notte, con 5 brutti ceffi intorno ed il pensiero che le gambe non le reggono più. Credo in quel momento avrebbe preferito stare con i castori a costruire la famosa diga. Ci facciamo forza ma ci attendono i 10 km più lunghi della notte. Non perché siano particolarmente impegnativi per i dislivelli ma perché si sta procedendo ad una velocità che era identica a quella dei camminatori. Sì sì ho detto che la notte è stata trail autogestito ma a tutto c’è un limite e questa volta l’avevamo superato, non avremmo ripreso i camminatori a quell’andatura.

Marco e Federico a questo punto spariscono e non li vedremo più se non all’arrivo. Quel passo è troppo lento per tutti noi ma dentro di me sento che lasciare lì da sola in mezzo al bosco Carla sarebbe una vigliaccata. A pensarla come me ci sono ancora Jack e UomoPatagonico con il loro spirito e la volontà di rimanere uniti fino alla fine del giro e capisco che in realtà è questo il vero momento in cui stiamo facendo un trail autogestito.

Dovessi menzionare un ricordo di questi 10 km posso solo dire che la bellezza del paesaggio era un po’ offuscato dal passo che tenevamo ma vi assicuro che la notte rendeva questo tratto una realtà a se, un piacere incredibile da assaporare. Ahimè però il tempo stringeva e non avevamo modo di fermarci in punti particolari dove raccontare a Jack e Patagonico la storia che c’era in quei luoghi. Non ho potuto raccontare loro della casa della Dogana dove avveniva il passaggio doganale tra le terre di Prato e quelle del Mugello come non ho potuto raccontare la storia della fattoria Le Soda. Poco male però perché il percorso sta piacendo e credo proprio ci saranno altre occasioni in futuro.

Finalmente arriviamo al passo della Crocetta, su strada asfaltata, dove Carla aspetterà l’arrivo della figlia in pigiama, alle 5 del mattino, a giro per le strade di montagna. Ammetto che siamo stati per un attimo combattuti tra l’attendere l’arrivo della figlia e gustarci lo spettacolino o proseguire. Ma l’animo trail chiama e lasciamo Carla per avviarci con grande slancio verso l’ultima impegnativa salita che ci porterà in vetta al Tavianella. Durante la salita, nel fitto bosco, le luci delle torce cominciano a non illuminare più come prima ma non si tratta della fine delle batterie bensì dell’arrivo di qualcosa di molto più luminoso: sta sopraggiungendo l’alba e vi assicuro che attraversare quel bosco a quell’ora ha un sapore particolare, un emozione unica. La nostre folle rincorsa però ci premia e arriviamo finalmente a ricongiungerci con i camminatori più lenti (siamo a 3 km dall’arrivo).

Mamma mia che sudata, è stata un’impresa raggiungerli e il piacere di fermarsi un attimo per parlare con loro, per sapere che emozioni hanno vissuto nel loro pellegrinaggio notturno, riesce per un po’ a farmi dimenticare che dovrei correre ancora per qualche km. Però alla fine torno in me e ricordandomi che Jack mi aveva da poco superato al grido di: “tu tiene e cuorna” ho deciso di salutare i camminatori e ripartire a corsa verso l’arrivo.

La discesa finale è stata abbastanza stressante per il mio povero ginocchio ormai andato (a cui si è aggiunta una distorsione forte alla caviglia rimediata mentre camminavo con Carla) ma il premio finale è stato più che sufficiente: sono a Bocca di Rio, un santuario dalla storia bellissima, immerso nel verde e nel silenzio della montagna vicino a una sorgente di acqua freddissima.

La storia giunge ormai al termine ma non posso che fare un ultimo appunto rivolto al terzo tempo: schiacciata con i ciccioli, schiacciata normale, scrostata e pastiera napoletana. Il tutto condito con acqua, bevande gassate di vario colore e un buon vino.

38 km e D+ 2.149,1 mt, D-1.511,2 mt


Ormai la girata è conclusa, ho conosciuto nuovi amici, ho fatto una nuova esperienza e ho corso e camminato tutta la notte per sentieri fino a raggiungere il punto finale dove dedicarmi ad uno spettacolare terzo tempo.
Porterò per sempre con me il ricordo di questi volti, delle difficoltà incontrate, del piacere di condividere questi momenti e questi sentieri con persone che probabilmente non sarebbero mai venute a fare un giro in questi luoghi. Grazie a voi tutti

E SE NON E’ TRAIL AUTOGESTITO QUESTO!!!!

domenica 20 luglio 2008

Skyrace delle Apuane 2008



Al di là di ciò che è accaduto mi sembra doveroso parlare di questa corsa, vuoi per il lato dell'ambiente naturale offerto, vuoi per cercare di dare una sorta di "aiuto" a chi affronterà questa avventura nelle prossime edizioni.

La mia esperienza comincia con il parcheggio agli impianti di Gallicano. Si lasciano le macchine e con un servizio navetta veniamo portati a Fornovalasco per la partenza. Lungo la strada, a sinistra, è possibile vedere una splendida diga ricavata dal taglio delle montagne e poi, giunti a Fornovalasco, si può visitare un paesino tanto piccolo quanto incantevole e suggestivo. Le premesse ci sono tutte ed il fatto che ovunque mi giri le strade puntano verso l'alto mi fanno capire che qui sarebbe bene fare un minimo di riscaldamento o prenderla sul tranquillo all'inizio. Scelgo la seconda strada e, vista l'assenza di idee bellicose in questa corsa che non conosco, ho fatto la scelta più giusta. Anche perchè la partenza è attraverso un piccolo arco che porta ad un sentiero single tracker.

Da questo punto parte una continua salita in mezzo al bosco con pendenza costante che, ad energie ancora fresche, risulta corribile su tutta la tratta anche se con buon dislivello. Ma gli alberi sono destinati a finire e arrivi su crinale e da qui capisci perchè le Apuane sono chiamate Alpi anche se i portabandiera del CAI Sede Centrale denigrano tanto questa denominazione. Intorno a te immense montagne dalle vette tipicamente dolomitiche che cadono quasi verticalmente verso la Piana Viareggina.

E' sicuramente giusto soffermarsi un attimo ad ammirare questa incantevole visione ma si deve proseguire. Parte dunque un passaggio in cresta dal panorama mozzafiato e corribile quasi ovunque che porta fino ad un pezzo storico delle apuane: il Monte Forato. Che sensazione stupenda passare accanto all'arco che contraddistingue questo monte!!!!

Da qui comincia la discesa verso il Rifugio del Freo che rappresenta uno dei punti più tecnici in quanto ci sono vari passaggi su roccia attrezzati con corda. A prima vista non sembrano troppo impegnativi e si riesce a superarli abbastanza bene ma, e ormai la realtà ci è testimone, questo tratto può essere fatale [un pensiero va al nostro amico Giuseppe ed in particolare alla famiglia che lascia... forza sempre e comunque!!!]

Una volta giunti al Freo è bene sostare un attimo a recuperare le energie perchè ormai il cancello delle 2h e 10' è superato e, dopo aver percorso per un brevissimo tratto lo stesso sentiero che ci ha portato al rifugio, inizia la salita più dura, quella che porterà, dopo una tremenda rampa, in cima alla Pania della Croce. Su questo punto non si può dire altro se non rimanere con la bocca spalancata ad ammirare il paesaggio e le gigantesche montagne tipicamente dolomitiche che si vedono.

Bene fermarsi un attimo a riprendere fiato e prepararsi però perchè da questo punto comincia la discesa attraverso la Valle dell'Inferno ed il suo nome è abbastanza azzeccato visto che la discesa è estremamente tecnica almeno per il primo tratto con rocce prive di qualsiasi stabilità.

Lasciata questa aspra Valle si giunge al rifugio Rossi e da qui di nuovo giù, attraverso boschi alternati a leggeri tratti di mulattiera e asfalto fino a 2 km dall'arrivo [in tutto sono 11 km di discesa continua che può portare facilmente ad errori e che ha fatto diversi infortunati all'arrivo con cadute anche rovinose tra cui quella del sottoscritto].
A 2 km ci si trova davanti ad un muro in salita dove i crampi silenti si fanno alla fine sentire per chi è poco allenato o come me esce da una 42 km la settimana prima e si è ritrovato a fare gli ultimi 10 km zoppo con dolori al ginocchio rovinato da una caduta. Ed infine si raggiunge l'asfalto, l'ultimo km di asfalto che passando davanti alle Grotte del vento [attrazione turistica del luogo] ti porta fino a Fornovalasco dove un ottimo ristoro attende coloro che hanno concluso questa grande fatica.

4h e 3' è il mio tempo ma la prossima volta ci metterò molto di più. Forse non mi basteranno 10 ore ma per lo meno potrò fare tantissime foto armato di zaino, bastoncini e scarponi. E' stata una esperienza particolare, forse estrema, ma che mi ha segnato profondamente.

Un ultimo consiglio per coloro che vogliono correre questa skyrace: non si tratta di un percorso semplice e anche le persone più esperte possono farsi male come è capitato al sottoscritto o anche peggio come, la sfortuna ha voluto per Giuseppe. Evitate di bloccare il passo di chi vi è dietro se vedete che questo va più veloce di voi, l'agonismo si sa prende il sopravvento e si prova quindi a superare appena si apre un varco ma non è un sentiero che lo permette con estrema facilità. La scivolata è sempre in agguato e quindi per la vostra e l'incolumità altrui è bene pensarci. Gli ultimi 14 km poi sono molto tecnici quindi state attenti a buttarvi a capofitto in discesa soprattutto se non siete abituati a questo tipo di percorsi.

Le Skyrace, le Skymarathon, il Vertical Km o anche le UltraTrail [scusate il termine miei cari francesi dal copyright facile] non sono corse adatte a tutti soprattutto a chi crede di trovarsi per strada. Al primo posto va sempre messa LA SICUREZZA DEGLI ALTRI e solo successivamente il vostro Spirito Agonistico. Ricordatevelo

domenica 13 luglio 2008

6° Ecomaratona del Ventasso



era il 9 Luglio 2006 e l'Italia giocava la finale del Campionato Mondiale. Ero appena tornato da un piccolo paesino dell'Appennino Reggiano (Busana) ed ero stanco si, ma felice. Felice perchè dopo 1 mese e mezzo dalla prima volta che avevo messo un paio di scarpe da running ai piedi, avevo percorso la mia prima maratona... pardon ECOmaratona

ed ero così entusiasta, distrutto ma felice di aver corso il Ventasso

è il 13 Luglio 2008, e dopo due anni sono nuovamente a Busana.
2 anni di esperienza, qualche maratona, un po' di corse in montagna e tanti ricordi; ricordi di unione, festa paesana, splendida organizzazione e tanta sofferenza sul percorso.

Il Sabato è stato semplicemente splendido, una cornice stupenda con tantissimi volontari (stupendi volontari), che ti stanno vicini e ti coccolano nel miglior modo possibile. In fondo l'ecomaratona del ventasso è, per le persone del luogo, la FESTA DELL'ANNO. Ovunque trovi giovani e anziani che ti accolgono con gioia.
E, come accadde due anni fà, il buon Vincenzo, insieme alla Rosy e allo speaker (veramente in gamba oserei dire) informano e danno le necessarie avvertenze sul percorso del giorno dopo. E quando Vincenzo puntualizza più volte sul fatto che questa è una Ecomaratona mi si apre il cuore. Qui vige la regola del "NON ABBANDONARE I RIFIUTI" come più volte menziona al microfono.
Raccomandazioni sulle scarpe da usare, raccomandazioni sulla difficoltà del percorso, raccomandazioni verso i maratoneti cercando di imprimere nelle loro menti il fatto che le loro tabelle, i loro lunghi, le loro medie al km QUI non hanno motivo di esistere.
MI SENTO A CASA, un mondo diverso dalla corsa su strada, un mondo dove non è il passo che fa la differenza ma la "sensazione".
E come dimenticare i numerosi Spirito Trail finalmente legati a tratti somatici piuttosto che a un nick name.

Mi sono dilungato troppo forse ma del resto la parte secondo me più bella di questa manifestazione è l'Atmosfera che si respira, che la rende unica. E con questa piacevolissima sensazione si arriva finalmente alle ore 8.30 della domenica mattina

Non parlerò della mia prestazione perchè non ne sono molto entusiasta: ho migliorato di 22 minuti la precedente prestazione ma una colazione sbagliata, gli sbalzi termici nell'attacco al ventasso, il successivo conito di vomito nei pressi del lago per la congestione rimediata e la difficoltà di alimentarmi nei successivi ristori mi hanno certamente limato.

Parlerò invece di un percorso che spesso viene sottovalutato ma che fa pagare il conto tutto insieme.
La partenza è tra gli applausi del pubblico che ti seguono per tutto il giro del paese, poi si comincia.
Un sentiero con continui saliscendi (mangia e bevi come li chiamano alcuni) ci accompagna tra Busana e Cervarezza (circa 6 km). Simpatica è l'iniziativa proposta dagli organizzatori che regalan,o ai primi 3 che passano sotto il traguardo di cervarezza ai rintocchi delle campane alle ore 9, una cassa di bottiglie di vino.

Da qui si affronta un tratto asfaltato fino a raggiungere il ristoro del Camping. Un trio di musicanti Iralndesi ci accolgono con lo splendido suono delle cornamuse (molto carina la ragazza che suonava). Breve ristoro e poi si affronta un tratto in leggere salita pedalabile seguito da una discesa costante fino a Busana (siamo a 11 km)

La discesa continua e attraverso il bosco e attraversamenti di ruscelli ricomincia a salire, prima con fare molto lieve fino a Nismozza e poi rincarando la dose fino alla vetta del Ventasso. E' quello che viene chiamato "il tirone" e rappresenta sicuramente il primo momento in cui gli stradaioli devono fare i conti con le loro tabelle e i loro riferimenti. Dal Ventasso comincia una discesa su sassaiola che porta ad uno splendido lago da cui comincia la seconda, tremenda anche se corta, salita che finisce di distruggere i sogni degli amanti del 3.30/4.00 al km

Il panorama in questo tratto da il meglio di se e accompagna i runners nella discesa che porta al ristoro del 27°km.

La stanchezza si fa sentire e i successivi 4 km di asfalto possono essere di respiro per alcuni o di sofferenza per altri

Ma alla fine una deviazione a sinistra ti riporta su terreno che scendendo giunge a Montemiscoso. Un breve sosta e poi cominciano gli ultimi, lunghissimi, 12 km.
Un saliscendi continuo che dopo 8 km e un po' di scalini ti riportà al ristoro del Camping incontrato al 6° km

Ok, da qui gli ultimi 4 km sono già conosciuti perchè ripercorrono un tracciato già fatto ma vi assicuro che affrontarlo con 6 km sulle gambette o con 38 km fanno tutta un'altra impressione

Volendo fare le somme alla fine sono giunto al traguardo stremato (più per il malessere fisico che non per la fatica), ho coinvolto la mia ragazza, suo padre ed un amico che hanno amato immediatamente questo genere di corse ringraziandomi per aver loro fatto conoscere questo modo di vivere la corsa ed infine ho conosciuto nuovi amici e incontrato vecchie conoscenze.

sono stati si 42.195 mt (circa 7.500 mt di asfalto) e con un dislivello di +2.062 mt/-2.062 mt

ma la cosa importante è che

sono ancora oggi entusiasta, distrutto ma felice di aver corso il Ventasso